E' la prima autrice europea ad aver pubblicato una trilogia sui temi dell'INTELLIGENCE. Attualmente in corso di pubblicazione in Francia il volume inedito L'intelligence expliquée aux enfants

email

                               torna all'home page

 

 

Antonella Colonna Vilasi , Pedagogia sociale. Scritti di pedagogia sociale contemporanea, Pensa Editore 2010


 

 Giuliano MINICHIELLO

Ospitiamo nella nostra collana un articolato saggio di Antonella Colonna Vilasi, allieva  e collaboratrice di Francesco Bruno, che esplora i sintomi più gravi ed evidenti dell’attuale malessere sociale: dal bullismo all’anoressia e alla bulimia, dall’indebolimento dei valori alla ricerca di senso delle giovani generazioni, dalle diffuse forme di violenza urbana, soprattutto giovanile, alla diffusione di fenomeni di stalking, e via elencando. Lo sguardo con cui questi fenomeni sono osservati e spiegati è prevalentemente analitico, nella fedeltà a una tradizione di ricerca tesa a rilevare le patologie del sociale, piuttosto che a suggerire terapie di dubbia utilità. Dal quadro generale emerge, comunque, un problema centrale, quello del malessere giovanile, che proietta la propria ombra su fenomeni che riflettono il presente, sì, ma anche e soprattutto il futuro.  

            Da molte parti si sostiene che, oggi, il luogo centrale del problema educativo, diversamente da ciò che si pensava in epoche anche recenti, non sia più costituito dall’infanzia, bensì dall’adolescenza. E’ in questa fase della vita che, nella difficile costruzione dell’identità personale, emergono i tratti distintivi dell’età contemporanea e, insieme, i nodi cruciali dell’educazione (V. Andreoli, Giovani, Milano, Rizzoli 1995; G. Acone, La paideia introvabile, La Scuola, Brescia 2004). Si è parlato, a ragione, di “nuova adolescenza”, per indicare non solo la dilatazione cronologica di questa età – che si estende, ormai, dalla pubertà all’età matura e oltre – ma anche un modo di vivere il proprio tempo con atteggiamento rovesciato rispetto al passato: da quella ricerca del futuro, dell’autonomia, della soggettività piena e autonoma, che caratterizzava le vecchie generazioni, si è passati, a un’ansia da futuro incombente, a una inconscia tendenza a non uscire dall’infanzia (tendenza codificata come “complesso di Peter Pan”), a una dimensione di vita caratterizzata dal dominio del presente, priva di orizzonti che spingano lo sguardo oltre il “qui ed ora”.

            A noi pare, tuttavia, che su questo aspetto occorra una riflessione approfondita. La “morte del futuro” e il sentirsi comunque trascinati verso di esso inducono disperazione nei soggetti adolescenti, che adottano comportamenti che sono il segnale di una profonda difficoltà a trovare la soluzione all’enigma di una crescita desiderata e rifiutata insieme. I ragazzi che percepiscono, comunque, la propria situazione di stallo evolutivo cercano di assumere atteggiamenti che possano far credere di avercela fatta a forzare il blocco, di aver superato l’ostacolo insormontabile, di aver realizzato le tappe evolutive tutte in una volta, precipitosamente, diventando molto cattivi oppure ricorrendo alle droghe o commettendo dei reati che li illudono di aver già conquistato subito il potere, la visibilità sociale e il controllo di sé; essi, in sintesi, spaventano gli altri per far passare la propria paura.   

            Un progetto educativo attendibile può essere formulato, oggi, solo rileggendo i problemi e le emergenze che caratterizzano l’accidentato percorso dei nuovi adolescenti verso la costruzione dell’identità, adottando l’ottica che muove dalla loro “paura di fondo”, che è paura di non riuscire a realizzare il compito evolutivo.

            Sotto questo aspetto, la prima evidenza è costituita dalla difficoltà di dare significato e senso alla propria corporeità, alla trasformazione di un corpo che acquista “competenze sessuate” e generative. La pubertà è, da un punto di vista educativo, la necessità di costruire nella mente una nuova immagine del corpo, di conferire ad esso un significato affettivo, relazionale, etico, sulla cui base costruire un valore dell’identità di genere e definire la propria identità sessuata.

            Il percorso che conduce alla costruzione di un’immagine corporea corretta è molto importante, perché il sentimento di realtà è fondato su quello che la psicologia chiama “io corporeo”. Una errata percezione del proprio corpo induce una inadeguata percezione della realtà degli altri.

            Gli adolescenti usano da sempre diverse tecniche per aiutarsi a costruire un’immagine del proprio corpo, effettuando un vero e proprio lavoro su di esso: tutta la cosmesi, la profumazione, l’abbigliamento, il look, tutta una serie di manipolazioni più o meno violente del loro corpo esprimono con chiarezza il bisogno di cercare di controllare attivamente una trasformazione subita, imposta da madre natura.

            Le manipolazioni della corporeità naturale delle ultime generazioni hanno acquistato una violenza particolare. Ad esempio, oggi siamo costretti a confrontarci con il fenomeno delle diete rigide ed è singolare che le ragazzine vivano il dramma della colpa e della vergogna a livello di corpo alimentare e non più di corpo sessuato, di corpo erotico. L’anoressia e la bulimia sono fondate sull’”invenzione” del corpo alimentare, grasso o magro, che annulla l’importanza del corpo sessuato e generativo. Un analogo messaggio ci deriva dalla nuova usanza giovanile di lavorare non più sul giubbotto, sulla felpa, sui jeans, ma direttamente sulla pelle, tatuandola o perforandola. Piercing e tatuaggi manomettono in modo indelebile la pelle, mirando a personalizzare e firmare il corpo naturale. Il doping, il culturismo, l’uso di droghe per migliorare le proprie prestazioni indicano la ricerca di una sorta di super-corpo, dotato di poteri stupefacenti; i look esasperati propongono un corpo sociale  trasmettitore di messaggi. Inoltre, e più tragicamente, si registra un forte incremento del suicidio e del tentato suicidio, come manifestazione  atroce di un corpo inventato come persecutore.

            Tutte queste manipolazioni violente del corpo suggeriscono che la difficoltà possa derivare dal fatto che, nel processo di costruzione dell’immagine corporea, l’adolescente si imbatte in due caratteristiche peculiari del corpo, che ne diminuiscono molto il valore. I ragazzi non possono negare che il nuovo corpo, scoperto come immagine di sé da costruire nella mente, è un corpo che ha una data di scadenza, è un corpo mortale. Il viaggio verso il corpo è un viaggio verso la dimensione della mortalità del corpo. Inoltre, in sé e per sé il corpo, maschile o femminile, non è comprensibile se non lo si vede come complementare a un altro corpo che lo rende perfettamente comprensibile. La dipendenza da un corpo complementare è un’offesa al narcisismo infantile e spinge a vedere come una minaccia l’imperativo ad apprendere condotte di seduzione e di corteggiamento finalizzate a costruire la coppia.

            La manipolazione violenta del proprio corpo è una risposta al turbamento derivante dall’esperienza di un corpo mortale e di un corpo complementare in ragazzi che hanno conosciuto un’infanzia felice, autonoma, “paradisiaca”, quale quella che domina nell’attuale struttura della società e della famiglia.

            Un’altra area in cui si addensano delle emergenze educative è la nascita sociale, cioè il non essere più solo “figlio”, ma dover diventare un soggetto sociale. In questa generazione di adolescenti tale fenomeno è caratterizzato da una fame di socialità, di amici, di gruppalità molto accentuata, che verosimilmente  è in relazione con il fatto che la nuova famiglia ha favorito un precoce processo di sviluppo di abilità e di competenze sociali dei propri figli. Nella fase pre-adolescenziale, però, scatta un nuovo bisogno di socialità e il gruppo di coetanei diventa una superpotenza affettiva alla quale è molto discutibile si possa attribuire una capacità e una competenza educative. Non ci si può meravigliare che nello stesso giorno il gruppo possa subire una violenta metamorfosi e da gruppo di coetanei coesi e accomunati dalla condivisione di un progetto creativo si trasformi in “gruppo-banda” e per un breve periodo si dedichi ad attività fortemente trasgressive, spesso molto crudeli.

            Oggi abbiamo una socialità precoce e una pubertà psichica che precede la pubertà biologica, e constatiamo un ingresso in dinamiche affettive e relazionali preadolescenziali già in quarta e quinta elementare. A tale socialità molto precoce non corrisponde la nascita di una parallela competenza nel campo dello sviluppo etico o valoriale, ma anche delle abilità e delle conoscenze in altre aree.

            Anche l’altro aspetto della nascita sociale, quello di nascere come studente (uscire dalla scuola media e entrare nella scuola superiore) pone delicati problemi. La generazione attuale di adolescenti è impreparata e poco disposta a dare un significato etico alla scuola, i ragazzi sono culturalmente orientati ad attribuirle un significato espressivo: ciò che chiedono alla scuola è di aiutarli ad esprimersi, a realizzarsi, a crescere, a capire, e questa domanda risulta notevolmente problematica per il mondo della scuola. L’emergenza educativa che ne deriva è che il ruolo affettivo di adolescente troppo spesso si scolla dal ruolo sociale di studente, perché questo secondo ruolo non riesce a governare gli affetti dell’adolescente; la demotivazione delle masse studentesche deriva dal fatto che le energie creative, la capacità di sperare, la voglia di esprimersi e di realizzarsi dell’adolescente non transitano attraverso l’appropriazione degli strumenti che l’esercizio del ruolo di studenti mette a disposizione. Quando i ragazzi vanno a scuola da adolescenti non riescono a capire e partecipano con difficoltà al lavoro scolastico. Spetta alla scuola far loro comprendere che l’esercizio del ruolo di studente è un’ottima mediazione per realizzare alcuni compiti evolutivi inscritti nel ruolo affettivo di adolescente, ma la scuola stessa presenta il ruolo di studente in modo arcaico, come se fosse caratterizzato da una sacrificalità e da una richiesta di sottomissione che per gli alunni non è comprensibile culturalmente. E quando dall’esercizio del ruolo di studente egli giunge al ruolo affettivo di adolescente una serie di mortificazioni e di delusioni i ragazzi tagliano i fili che connettono i due ruoli ed entrano in uno stato di anestesia totale rispetto ai dolori, alle sofferenze, alle mortificazioni, alle paure ma anche alle grandi speranze che potrebbero derivare dall’esercizio del ruolo di studente.

 

            Una terza area di emergenza educativa è quella del rapporto con l’autorità. Con l’autorità interna, con ciò che gli psicologi chiamano “super-io”, e con quella esterna delle relazioni familiari, sociali, scolastiche. Qui il problema deriva dalla circostanza che il processo di separazione-individuazione che si consuma all’interno della famiglia avviene nei confronti  dei genitori, che sono troppo buoni e da cui è difficile separarsi. Il livello di conflittualità fra le due generazioni all’interno della famiglia è molto basso e quindi il percorso di separazione si prolunga nel tempo e ai ragazzi sembra davvero non interessare e non entra far parte del contenzioso familiare. Le problematiche relative alla conquista del potere non sembrano preoccuparli, come se esso, all’interno della famiglia, fosse stato distribuito già prima dell’adolescenza. I giovani non configgono con i genitori sulle problematiche sessuali, configgono invece sul problema della socialità, del riconoscimento di poter disporre di adeguato tempo e risorse per coltivare la loro fame di socialità orizzontale.

            Il basso livello di conflittualità interna rende più difficile la separazione dal contesto familiare e rinvia il raggiungimento di una vera individuazione, incrementando negli adolescenti, paradossalmente, la malinconia, il lutto, l’imbarazzo nel rivendicare una autonomia richiesta verbalmente ma non conquistata interiormente.

            La difficoltà che i ragazzi attualmente incontrano nel portare a compimento il processo di individuazione è proprio la incertezza nella definizione del proprio progetto futuro e della propria vocazione, nel confronto/scontro tra una famiglia/nido e una società “del rischio” che non propone scenari certi  o garantiti in qualche misura. L’attuale generazione di docenti e discenti non è più sostenuta dalla diffusione delle “filosofie della speranza”; le generazioni precedenti, se non riuscivano a sperare individualmente, potevano trovare sostegno nelle “grandi narrazioni” che garantivano la speranza, socialiste o liberiste, che promettevano un progresso illimitato e diffuso. Oggi i ragazzi non hanno a disposizione nessuna filosofia di questo tipo e la crisi delle ideologie fa sì che la speranza nel futuro non sia sostenuta da un corrispondente contesto culturale. Molte ricerche psico-sociologiche tendono a documentare la tendenza dei ragazzi a eternizzare il presente, a non vedere nella realizzazione del progetto futuro l’obiettivo individuale essenziale. Incontrano difficoltà nel seppellire delle parti di sé, delle istanze narcisistiche e anacronistiche, che rimangono vive e persistono nel tempo, vengono coltivate e offrono possibilità di esprimersi dal momento che non c’è nessuna fretta nell’accantonarle e nessun rito sociale  che pretenda la loro scomparsa (M. Benasayg-G. Schmit, L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Milano 2004).

 

            L’ultima area di emergenza educativa è quella della definizione dello sviluppo etico e dei valori ideali. Spesso si afferma che oggi viviamo una profonda crisi di valori e non mancano gli episodi, anche tragici, che possono suffragare questa tesi.

            Gli adolescenti di oggi sono figli di una famiglia affettiva, non più di una famiglia etica, la quale, per tenere basso il livello del conflitto, rischia di separare le regole famigliari dai valori, perché ha bisogno di regole reversibili, che non prevedono riferimenti inflessibili a un qualche principio assoluto e assicurano così il controllo del conflitto.

            Per ottenere il rispetto di qualche regola purchessia occorre che le regole che si costruiscono all’interno della famiglia siano svincolate dai valori e dai principi. Questa etica affettiva, questa enfasi sul valore della relazione, l’ipotesi che originariamente il bambino sia buono e creativo e che quindi il compito educativo si riduca ad aiutarlo ad essere se stesso, a tirar fuori il suo talento, ha contribuito a trasformare la qualità della relazione tra le due generazioni. La crisi dell’autorità del padre ha sicuramente favorito il pacifismo dei figli; la generazione attuale di adolescenti non sembra cercare il nemico, non sembra battersi per abbattere o conquistare il potere, sembra invece avere un forte interesse nel chiedere di diventare visibile, di avere ascolto, relazione.

            I ragazzi delle scuole superiori pretendono che la valutazione avvenga all’interno della relazione, altrimenti non ha alcun senso, non ne tengono conto e non provoca né dolore né vergogna né sentimento di colpa. Tutto l’insieme fa sì che la scelta dei valori reali privilegi la scelta di valori espressivi e riparativi. Credo sia abbastanza facile alimentare l’animo dei ragazzi proponendo loro degli ideali riparativi (come la tutela dell’ambiente, la difesa della natura) e offrire delle relazioni positive: è da sottolineare una forte spinta verso il volontariato giovanile, che in fondo non fa che portare fuori della famiglia quello che è l’attuale valore della famiglia, cioè costruire relazioni (se i ragazzi vedono che c’è intorno a loro solitudine, sofferenza, disagio, è possibile che avvertano il bisogno di andare ad offrire relazione, perché questo è un valore che hanno imparato).

 

            Come si vede, siamo di fronte a peculiari difficoltà, ma anche all’apertura di nuovi scenari positivi: il pacifismo, la diminuzione della conflittualità, le pari opportunità, i mutati equilibri tra maschi e femmine, la vita di gruppo che può costituire una occasione di socializzazione. E’ però indispensabile avere la consapevolezza dei rischi e dei pericoli che si impongono alla nostra attenzione come vere e proprie emergenze educative. Tutte le volte che ci troviamo di fronte a ragazzi che sono incappati in una situazione di stallo evolutivo e che ricorrono a fantasie di recupero di maturità accelerando forsennatamente la scelta di una falsa identità, indossando la maschera del cattivo, manipolando il corpo, ecc., il progetto educativo non può che essere orientato ad incrementare il sentimento di responsabilità. Bisognerà far sì che scuola, famiglia, associazionismo, riescano a sottoscrivere un nuovo patto orientato allo sviluppo del sentimento della responsabilità prima di tutto nei confronti del sé, del corpo, come premessa per poter assumere responsabilità nei confronti dell’altro, del bene condiviso, della comunità sociale nel suo insieme. Non essere responsabili neppure nei confronti del proprio corpo, dei propri pensieri, dei propri affetti, rende molto problematica l’eventualità che i giovani riescano ad essere responsabili nei confronti dell’altro, della morte, della violenza.