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Antonella Colonna Vilasi , Pedagogia sociale. Figure del disordine quotidiano. Pensa Editore 2010


 

 INTRODUZIONE

Il saggio che ci offre Antonella Vilasi è un’ampia e approfondita disamina degli autori e delle categorie che l’analisi sociologica mette a disposizione delle questioni educative. Le tipologie umane individuate dalla ricerca, la contestualizzazione di fenomeni come il bullismo, il suicidio giovanile, la prostituzione adolescenziale, e così via, sono sintomi di un generale malessere, che l’Autrice non manca di sottolineare. Il suo discorso si rivela perciò particolarmente proficuo ai fini di una intersezione di differenti scienze umane e dell’educazione ai fini di una possibilità di comprensione dell’ambito sociale e comunitario e di un approccio fortemente integrato ai problemi formativi.

Nella impossibilità di offrire un quadro generale, sia pure impressionistico, del lavoro della Vilasi, ci soffermiamo su di un tema particolare, che per noi riveste un’importanza centrale nel definire un aspetto, spesso sottovalutato, dei processi di apprendimento.

Da qualche tempo il tema dell’“autostima” è diventato un punto focale della ricerca in ambito educativo. La considerazione che un individuo ha di se stesso è vista come una delle cause principali del successo o dell’insuccesso scolastico, essendo essa collegata strettamente a quel motore del processo di apprendimento che è la motivazione. Vari studi hanno dimostrato che l’autostima si mantiene costante ed è difficile modificarla anche se le prove oggettive smentiscono la concezione soggettiva che uno ha di sé. Per fare un esempio, sembra che scolari con un basso livello di autostima e caratterizzati da un insufficiente livello di apprendimento, anche dopo aver raggiunto risultati migliori nel profitto, tendono ad abbassare il livello del proprio impegno e a ritornare ai consueti livelli di rendimento scolastico per non smentire l’immagine di sé che si sono formati e che li assegna a una collocazione precisa nel contesto della classe, tendono, cioè, a conservare il proprio tasso di autostima, indipendentemente dal profitto. In questo caso, evidentemente, non è possibile conservare l’equazione che collega in modo transitivo il rendimento scolastico al grado e al tipo di considerazione che il soggetto ha di se stesso. Si può, invece, osservare che il profitto e la valutazione positiva che viene dall’esterno non sono fattori sufficienti a modificare il livello di autostima, che è influenzata da circostanze differenti, come la conservazione di un certo tipo di rapporto con gli altri. Di conseguenza, il successo e l’insuccesso scolastico, mentre possono essere interpretati come variabili parzialmente dipendenti dal grado di motivazione e di autostima dell’allievo, non sono in grado di modificare, in alto o in basso, tale grado. 

Proprio l’esempio riportato induce a ritenere che il profitto diventa fattore significativo per l’apprendimento solo se non è considerato come fine a se stesso e se è collegato ai “fattori di senso” che veicola nella crescita culturale dell’allievo. Il soggetto apprende ad un livello molto più profondo di quello denotato dalla capacità di rispondere in modo appropriato allo stimolo esterno derivante dal contesto scolastico. Così che, la possibilità di intervenire, in sede didattica, sull’autostima dell’allievo, fino almeno a toccarne la superficie, dipende dalla incidenza dell’insegnamento sul tipo di apprendimento “nascosto” che si sviluppa autonomamente nel soggetto. E tale incidenza ha a che fare con processi formativi orientati al “senso” che la relazione educativa assume in un individuo che, costantemente, interpreta, cioè costruisce un mondo spirituale in cui sentirsi “di casa”.

Giuliano Minichiello